di Tiziana Todi
Dipinto a tempera grassa su tavola, 410x279 cm, databile 1518-1520, Pinacoteca Vaticana
La Trasfigurazione venne commissionata alla fine del 1516 dal Cardinale Giulio de Medici per la Cattedrale di Narbona. Purtroppo il principe dei pittori non riuscì a finire l’opera, che fu posta sul suo letto di morte e non giunse mai a Narbona, ma collocata nella chiesa di San Pietro in Montorio a Roma. La Trasfigurazione è quindi l’ultima opera eseguita, sebbene non ultimata, da Raffaello, Giulio Romano suo allievo la portò a termine secondo le indicazioni del maestro, come si evince anche dai pagamenti avvenuti in seguito.
La tavola fu confiscata e portata a Parigi da Napoleone nel luglio del 1798 con il Trattato di Tolentino tra la Francia e lo Stato Pontificio. Fu sistemata nel posto d'onore nel Museo del Louvre dove divenne una delle fonti d'ispirazione del Neoclassicismo francese. Nel 1815, anno della sconfitta di Waterloo, Papa Pio VII incaricò lo scultore Antonio Canova del recupero di tutte le opere saccheggiate in precedenza e la Trasfigurazione venne portata così in Vaticano. Purtroppo l’Italia, che con il suo enorme patrimonio d’arte ha esercitato il suo fascino e suscitato l’interesse di molti per la cultura, l’arte monumentale, musei e biblioteche, fu saccheggiata molte volte. Questa opera di Raffaello, che quindi ha avuto un destino comune a molte altre opere, fortunatamente recuperata, è tuttora considerata un capolavoro di composizione inarrivabile, come frutto di ispirazione divina e perfetta, tanto che per circa tre secoli chi studiato la dislocazione e l’organizzazione dello spazio ha dovuto a lei rifarsi.
In quest’opera, della quale esiste una riproduzione in mosaico all’interno della basilica di San Pietro, per la prima volta vengono raffigurati insieme due episodi del Vangelo secondo Matteo.
In alto la Trasfigurazione di Gesù su una collinetta, con gli apostoli Pietro, Giovanni e Giacomo prostrati per la sfolgorante manifestazione divina di Gesù, affiancato dalle presenze sovrannaturali di Mosè e di Elia; nella parte inferiore i restanti apostoli che si incontrano con il fanciullo ossesso, circondato dai parenti, che sarà miracolosamente guarito da Gesù al ritorno dal Monte Tabor. I due santi che si affacciano a sinistra potrebbero essere San Felicissimo e Sant’Agapito, che si festeggiano il 6 agosto, il giorno della Trasfigurazione, oppure San Giusto e san Pastore, protettori di Narbone, città a cui era destinata la pala.
Possiamo ravvisare in questa opera l’antagonismo con Sebastiano del Piombo, a cui come sappiamo era stata commissionata in contemporanea la Resurrezione di Lazzaro, ipotizzando che l’innovazione iconografica è probabilmente da ascrivere alla volontà di aggiungere spunti drammatici per meglio competere con un opera ricca di dinamismo. Particolarmente spettacolare è l'uso della luce, proveniente da fonti diverse e con differenti graduazioni, e la grande forza drammatica che scaturisce dalla contrapposizione tra le due scene che si presentano come due composizioni circolari, una parallela al piano dell'osservatore, in alto, e una scorciata nell'emiciclo di personaggi in basso.
Il gesto di Cristo che si libra in volo sollevando le braccia, era già stato sperimentata da Raffaello in opere precedenti, anche se qui acquista una vitalità nuova e potente, dando il via a rimandi che animano tutta la pala. Come nel testo evangelico, "Il suo volto risplendette come il sole, le sue vesti divennero
bianche come la luce" (Mt, XVII, 1-9). Sembra spirare un forte vento che agita le vesti dei profeti e schiaccia i tre apostoli al suolo montuoso, mentre in basso una luce netta e incidente, alternata a ombre intense, rivela un concitato protendersi di braccia e mani, col fulcro visivo sulla figura dell'ossesso, bilanciato dai rimandi, verso la scena prodigiosa superiore.
La diversità tra le due metà, simmetrica e divina quella superiore, convulsa e irregolare quella inferiore, non compromettono l'armonia dell’opera, ma la arricchisce di una straordinaria energia vitale in cui le molteplici sfumature delle vicende umane sono raccontate in una sintesi efficace di luce e buio, paura e stupore, sofferenza e guarigione, sconforto e speranza nel trionfo finale della luce nella compenetrazione della dimensione terreste e sovrannaturale.
Ricordiamo infine come Vasari ricordò l'opera come "la più celebrata, la più bella e la più divina" dell'artista.
La simbologia de la Trasfigurazione di Raffaello
Per questo dipinto, Raffaello, dopo un attento studio, decide di riprendere alcuni particolari dal Vangelo di Matteo ed altri dal Vangelo di Marco. Dal primo riprende la descrizione di Cristo che sta ascendendo al cielo e sotto di lui Pietro, Giacomo e Giovanni che sono accecati dall’aura celestiale che avvolge il Signore; da Marco, invece, riprende la storia degli Apostoli che non riescono a curare un ragazzo definito "indemoniato", ma sanno che solo Cristo può salvarlo.
Nell’immagine della Trasfigurazione, Gesù non è semplicemente illuminato da una luce divina ma si trasforma egli stesso in luce e illumina l’umanità. Per questo le due scene sono contrapposte ed esprimono il dualismo della realtà che porta ad una Armonia superiore. La parte superiore è luminosa e celebra la vittoria della speranza. La scena in basso invece mostra l’oscurità della possessione e del male che si contorce alla vista di Gesù illuminante. Gesù levita affiancato da Mosè ed Elia che avevano predetto la sua futura venuta.
Le figure principali formano una piramide, alla cui punta c’è Cristo e all’interno di questa figura ci sono tanti piccoli triangoli. Nella parte alta della scena ci sono Giacomo, Pietro e Giovanni, i quali sono anche i rappresentanti della fede, della speranza e dell’amore, ed anche i colori dei loro vestiti (blu, giallo, verde e rosso) sembrano favorire questa identificazione. Nella sezione inferiore del quadro, l’artista rappresenta alcuni degli Apostoli che lottano per liberare il ragazzo dalla possessione del demonio, ma sembrano non riuscirci. Arriva però Gesù e la situazione cambia radicalmente: il ragazzo ormai allo stremo delle forze, ha la bocca aperta ed il demone può finalmente abbandonare il suo corpo. In realtà sembra plausibile che il ragazzo fosse affetto da epilessia, ma ai tempi di Raffaello questa malattia (come tante altre) non era compresa e veniva quindi definita come una sorta di possessione dal demonio. Il vero centro ed essenza delle due storie che Raffaello dipinge è il potere curativo e salvifico di Cristo.
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